Paolo Cervi Kervischer: to be or not to be...

di Francesca Alfano Miglietti

"La vera rottura, la linea di fuga, l'acquisizione di una clandestinità.
Essere finalmente sconosciuto, come poca gente lo è, questo si è tradire.
(...) Le nostre società hanno bisogno di produrre volti.
Il Cristo ha inventato il volto. (...) Come diventare impercettibili?"
(Gilles Deleuze)

Corpi e identità che vogliono somigliarsi, corrispondersi, nelle mutazioni, nei flussi, nelle alterità di scambio e di incontro, di opere e di testi: "Il testo ha una forma umana, è una figura, un anagramma del corpo. Il piacere del testo è quando il corpo va dietro alle proprie idee. " (Roland Barthes). Identità come viaggio nel desiderio, corpo contemporaneamente in stato di allerta e di abbandono, identità che si sottrae alla ripetizione, una identità che si trasforma nella cattura di frasi, citazioni, frammenti. Corpo come schermo. Paolo Cervi Kervischer utilizza la pittura per riprendere…per ‘riprendersi’ una porzione di immaginario che la pittura porta sempre con sé, l’immaginario legato a ciò che non si vede, a ciò che si suppone, si immagina, si crede. Ha detto William Burroughs: "Ciò che chiamiamo arte-pittura-scultura-danza-musica ha origini magiche: vale a dire era usata in origine per scopi magici, per produrre effetti molto precisi.". E Paolo Cervi Kervischer pone lo spettatore di fronte a schermi bui di materia in cui le forme si ricongiungono alla loro simbologia originaria. Come immergersi nel fondo di un abisso. Nero, spesso, torbido, vischioso. Giù, fino a frugare nelle spire dell'inconscio; là dove sono stati nascosti i corpi dell’immaginario. Frasi, parole, citazioni, frasi poetiche…Materia fluida per un gioco un pò pesante, un pò stordito. Un rapporto intimo quello tra la poesia e la pittura, un rapporto con il corpo della teoria e la pelle della pittura sempre in gioco. Perché la pittura coinvolge tutto il corpo. Tende i muscoli, eccita i nervi, scatena gli impulsi. Ferisce gli occhi. E dà scacco, definitivamente, alla ragione. Paolo Cervi Kervischer immerge le sue forme nel buio, vero protagonista delle sue opere. L'esperienza vissuta del mondo nelle sue opere si fa evanescente, come la poesia, come il corpo dei poeti che lascia apparire dalle superfici sovrapposte, e il corpo si dissolve, quasi ritraendosi dalle corporeità che circolano nel mondo residuale dei territori fisici. È come se la virtualizzazione funzionasse (come d'altronde promette di fare), per elusioni progressive.

Forse l'elusione è la sua quintessenza: il corpo è l'eluso del processo di virtualizzazione. Eccolo là, il corpo, proliferante ed etereo, dignitoso ed evanescente, nel pianeta residuale fatto di territori, di arcaismi, di frasi...

Paolo Cervi Kervischer crea immagini artificiose che raccontano una singola emozione, l’indicazione di un percorso mentale, un breve viaggio dove la mente dello spettatore subisce nella passività totale l'ondata di stimolazioni che lo investono. Simbolo dopo simbolo. Come Barthes aveva previsto, in una era come questa, ossessionata dalla comunicazione, dalla pluralità dei linguaggi, dal proliferare dei segni, dal viaggio piuttosto che dall'arrivo, il simbolo acquista un ruolo centrale perché è un ulteriore sofisticazione linguistica. Perché non denota direttamente l'oggetto, ma introduce un ulteriore passaggio nel processo cognitivo. Il Simbolo è una connotazione indiretta. Lo stesso Barthes parla di miti, di comunicazione fine a se stessa dove è l'immagine immediata a venire decodificata, non ciò che l'immagine riproduce, ma l’immagine per l’immagine.

Orizzonti che si sciolgono, sistemi che si impregnano di altri sistemi, insiemi che si fondono e si allargano, Paolo Cervi Kervischer sviluppa una sensibilità per le immagini di confine, immagini reali, e non, fiction, sottrazioni e sovrapposizioni, bellezza artificiosa e attrazione per le situazioni fluide. Orizzonti asettici, contorni netti, presenze minime ed essenziali. La ricerca dell'identificazione dell'umano in un essere ‘altro’ è la conseguenza della distruzione degli stereotipi di perfezione che erano già destabilizzati: l'angoscia, la paura, la bellezza, la poesia sono per . Paolo Cervi Kervischer un tentativo di decostruire la perfezione delle immagini che la società di massa produce e riproduce. Dell'espressionismo simbolico rimane evidente la tendenza a costruire atmosfere fluide e decadenti, a indagare i confini fra l'esterno e l'interno di un corpo, il passaggio all'intimità più inviolata.

E’ evidente nelle opere di Paolo Cervi Kervischer una tendenza caparbia che rende affascinante la ricerca di un simbolo, la sua rappresentazione di identità individuale, la sua consapevolezza alla mancanza di confini fra realtà e fiction, fra virtuale e non, la mancata di delimitazione degli spazi collettivi e individuali, una ricerca che rende pressochè impossibile non solo definire il soggetto umano, ma anche posizionarlo in un contesto. Ma è proprio questa mancanza di contesto, di spazio, questa sorta di visionaria definizione individuale a creare un urto del pensiero dentro il quale e grazie al quale è possibile erodere la prevedibilità della visione. Per questo nelle opere di Paolo Cervi Kervischer la pittura esce da se stessa, è come se si liberasse da se stessa, distorcendo l'ordine dei suoi paradigmi, mixando i suoi concetti puri e creando in tal modo una serie di rappresentazioni polifoniche. Ogni monologismo visivo viene spostato da Paolo Cervi Kervischer su territori inesplorati dove la radicalità della sperimentazione si intreccia con l'innovazione linguistica: non solo delle immagini, ma anche di nuove formazioni concettuali. E così le opere di Paolo Cervi Kervischer divengono viaggi, viaggi lungo le forme possibili dell'essere, fino alla sua astrazione finale verso la disparizione, restano tracce, corpi di polvere e di luce che affiorano nel buio e che creano disordini anatomici e ibridi. Un viaggio dentro nuove dimensioni visuali che spostano la visione dal simbolo alla pluralità e polifonicità dei segni.

Visione “altra”, visione “oltre”, quella di Kervischer. Visione che fa coincidere il massimo di luminosità, paradossalmente, con il minimo di visibilità. O che rende il visibile netto e chiaro ma sempre precario, fuggevole, effimero. Nient’altro che questo. Un lampo istantaneo fra due abissi di nero. Un guizzo dello sguardo.

Paolo Cervi Kervischer ci pone di fronte ad una dimensione del mutamento fuori scala, ingestibile e incompatibile con il nostro sogno di dominare i cambiamenti. Nei suoi lavori racconta questo salto di scala affiancando frammenti poetici a ritratti dell’intimità. Crea così schermi di materie impalpabili e sovrapposte che restituiscono una visione “iperfocale” che costringe continuamente l’osservatore ad avvicinarsi ed allontanarsi dall’ oggetto. Niente è mai veramente a ‘fuoco’, nelle sue opere, quello che ottiene è una impressione, l’umore del cambiamento di un certo paesaggio umano, nessuna visione definitiva ma il progetto di carismatici dubbi sulla natura stessa del reale.

Paolo Cervi Kervischer sembra voler svelare gli aspetti che rimangono nascosti sotto la superficie, indagare sotto la pelle della pittura. Forme primarie del corpo della pittura di cui insegue le metamorfosi possibili facendo agire forze contrastanti, concrezioni, svuotamenti, torsioni, attrazioni… fanno parte di uno stesso percorso che lo spinge in zone ignote dell’immaginazione. In questo senso il suo lavoro è sempre l’inizio di una storia che lo porta sulla soglia di un mondo sconosciuto e fantastico dal quale riporta un lembo di ignoto.

Il buio sull’orlo della luce e la luce ai bordi del buio. Un dialogo con le materie che tracciano i contorni del buio quando è la luce a prevalere e viceversa. Una caccia di bagliori nell’ombra che nasconde la luce in cavità oscure, nel rovescio delle materie, un dialogare con le apparenti opposizioni: la trasformazione sia della luce che del buio in esperienze fortemente vitali.

Un dialogo con le materie quello che Paolo Cervi Kervischer ha attivato, materie composte da forme, evocazioni, sensazioni, poesia, materie con cui gioca e che penetra per raccontarne le microstorie nascoste nei luoghi di un racconto visivo fatto di disagio e bellezza, evoluzione e analisi, nella capacità di attivazione di quella tensione simbolica capace di non disperdere l’emozione.

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